· 

LA FORZA DELL’AUTOCRITICA

DI SIMONE PACIFICI

Fino allo scorso anno un secondo posto per l’Aston Martin sarebbe stato comparabile ad un campionato del mondo. Ancora oggi viene celebrato in maniera molto positiva, specie se si considera che con queste Red Bull imprendibili non è impresa da poco. Tanto da far dimenticare la pessima prestazione di Lance Stroll, storicamente quasi sempre in difficoltà a Monaco.

 

Ma la mentalità è cambiata: si è consci che questa squadra e soprattutto questa vettura (parto delle menti di Dan Fallows e Luca Furbatto con un grande contributo dell’ex pilota Sebastian Vettel) hanno un potenziale mai visto prima, e pur riconoscendo il gran lavoro svolto si analizzano gli errori e le debolezze. È quello che il team di Lawrence Stroll guidato da Mike Krack ha fatto dopo il Gran Premio del Principato, che ha visto uno stupendo Fernando Alonso portare a casa la seconda piazza.

 

Il TP in verde non ha timori ad ammettere la sbagliata interpretazione dei cambiamenti del meteo che ha portato Alonso a fare una sosta montando gomme da asciutto poco prima che iniziasse a piovere con consistenza. La vittoria era una possibilità molto remota, ma dire che si poteva fare di più è segno che nella scuderia inglese le cose stanno cambiando. Non si va più alla ricerca del singolo exploit, ma della massimizzazione del risultato in una logica sempre più da top team.

 

È indubbio che a livello di gestione interna c’è stato un importante salto di qualità: se fino all’anno scorso si arrivava a situazioni grottesche nelle quali per favorire palesemente Lance (ricordiamoci, figlio del proprietario) si attuavano strategie che spesso finivano per compromettere enormemente la gara di Vettel (in primis nell’ultimo GP di Singapore) oggi c’è la piena consapevolezza di avere tra le mani un importante capitale tecnico e un campione come Alonso che a 41 anni ha dimostrato di saper ancora dare la paga alla maggioranza della griglia e anche di essere maturato rispetto ai tempi in cui era uno “sfasciasquadre”. Fernando ha fatto sfoggio di una mentalità sorprendentemente positiva, addirittura tranquillizzando il team in caso di errori.

 

Un Alonso diverso da quello visto fino al 2018 dal punto di vista del rapporto con la sua scuderia, un cambiamento visto dall’ex pilota di F1 Timo Glock come la conseguenza della sua permanenza nel campionato del mondo Endurance, dove il teamwork è una parte fondamentale del lavoro. Effettivamente sprazzi di “questo” Alonso si erano già visti in Alpine, soprattutto quando sacrificò la sua gara in Ungheria nel 2021 per rallentare Lewis Hamilton (utilizzando la tecnica ad “elastico” in curva già vista varie volte nel corso della sua carriera) e permettere al suo compagno di squadra Esteban Ocon di prendere terreno sufficiente per assicurarsi la vittoria (la sua prima in carriera). E una volta tanto furono i francesi ad essere nel torto nella polemica dell’estate scorsa con lo spagnolo, motivo che lo ha spinto ad accettare l’offerta di Lawrence Stroll in seguito al ritiro di Vettel dalla F1.

 

Certo, il suo “personaggio” mediatico non è cambiato per niente: è ancora provocatore e a volte controverso quando parla dei suoi avversari diretti (vedi il GP del Belgio 2022 dopo la sua collisione con Hamilton), fomentatore di una delle fanbase più “fanatiche” della F1 e abilissimo ad utilizzare i social e la stampa per promuoversi (anche tramite personaggi noti del suo entourage, come Flavio Briatore). Quel che conta, però, è che sembra aver finalmente limitato questo lato del suo carattere all’ambito esterno alla sua squadra, mentre prima tendeva a lasciarlo andare pure al suo interno (da qui la sua “tossicità”).

 

L’Aston Martin e Fernando Alonso sembrano uniti da un filo conduttore: quello dell’autocritica e della capacità di migliorarsi. La scuderia inglese sta scoprendo la chiave del successo (che significa anche ispirarsi ad altri), il pilota spagnolo quella d’imparare dagli errori che non siano solo di guida e sbloccare quel potenziale che gli avrebbe forse potuto garantire qualche titolo in più se l’avesse scoperta prima. Una lezione a cui molti, compresi team “leggendari” della F1, dovrebbero prestare attenzione.

 

Alonso è ancora alla ricerca disperata della terza iride, anche se sembra aver raggiunto la lucidità che forse, alla sua età, pure con una vettura da mondiale ciò resterebbe molto difficile. Per il momento è impegnato con la sua Mission 33, ovvero la conquista della sua 33esima vittoria magari proprio sulla sua pista di casa a Barcellona, dove ironia del destino un decennio fa aveva conquistato quella che resta attualmente la sua ultima affermazione in F1 con la Ferrari.

 

Conoscendo il suo ego potrebbe bastargli essere considerato uno dei “padri fondatori” di un’Aston Martin che promette di diventare protagonista negli anni a venire grazie all’accordo con la Honda che la renderà team factory dei giapponesi a partire dal 2026.

 

In F1, si sa, ci sono mille modi per entrare nella leggenda.

Immagini di copertina e dell'articolo di proprietà di © Aston Martin Aramco Cognizant. 

Scrivi commento

Commenti: 0