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AUTARCHIA ROSSA VS MOTIVAZIONE VERDE

DI SIMONE PACIFICI

L’ora della riscossa invocata da Benedetto Vigna alla presentazione in rustica pompa magna sul circuito di Fiorano della Ferrari SF-23 sembra molto più lontana di quanto sembri. Le tante chiacchiere dell’inverno che parlavano di una Rossa ipercompetitiva (addirittura un secondo al giro più veloce della F1-75 al simulatore) si sono dissolte come neve al sole del Bahrain (dove però si è corso in notturna).

I segnali però già c’erano: la vettura non andava come la squadra e i piloti volevano nei test, e quegli sguardi scambiati per sereni probabilmente tradivano invece una grande rassegnazione. Fin da allora si vedeva come la neonata di Maranello (l’ultima del ciclo tecnico di Mattia Binotto, del quale si è sempre sottolineato il contributo dietro la sua realizzazione) non soltanto fosse lontana dalla Red Bull, ma addirittura che potesse essere messa in difficoltà da un’Aston Martin che ha fatto un salto di qualità incredibile nell’inverno.

Ben tre i guasti in questo weekend per la Ferrari di Charles Leclerc: batteria e centralina da buttare dopo le qualifiche, poi un’altra centralina bruciata la domenica (a quanto sembra a causa di un problema di un cablaggio, forse causato da un eccessivo bouncing del suo mezzo) che lo costringeranno a partire dal fondo nella gara di Jeddah del prossimo 19 marzo. E a peggiorare le cose ci si è messa la prestazione deludente di Carlos Sainz, giunto solo quarto al traguardo e apparso fin poco combattivo nelle ultime fasi di gara.

Una SF-23 che sembra nel complesso lenta e inaffidabile (spicca solo in rettilineo, dove ha registrato altissime velocità di punta), non in grado d’impensierire una RB19 che nella parte finale di corsa se non avesse corso in maniera conservativa avrebbe rifilato addirittura un secondo al giro al resto della griglia.

 

Della SF23 la fondatrice del nostro blog Laura Piras ha già fatto un'attenta analisi. Vi lascio quì di seguito il link del suo articolo.

 

A lasciare tutti esterrefatti è stata anche la prestazione dell’Aston Martin AMR23, con la quale Fernando Alonso ha concluso in terza posizione la sua prima in verde, mentre Lance Stroll ha tagliato il traguardo sesto, nonostante le fratture ad entrambi i polsi che lo affliggevano dopo la sua caduta (e le polemiche generate il venerdì dalla sua impossibilità di uscire dalla vettura senza aiuti esterni). Un’auto non scattante come la nuova Ferrari, ma decisamente più gentile con le gomme e controllabile in curva.

Come ha fatto il sesto team in griglia a diventare probabilmente il secondo? Immediatamente le parole ironiche di Helmut Marko su una “terza Red Bull” sul podio sono state usate (anche in ambito giornalistico) per immaginare complotti che vedono un’AMR23 copia carbone della RB18 dello scorso anno, e dunque da investigare e sanzionare il prima possibile.

La verità non è così semplicistica: al timone dello sviluppo della vettura ci sta Dan Fallows, considerato da molti il pupillo di Adrian Newey e ha sicuramente preso ispirazione da molti dei concetti della RB18 (come la forma delle pance vista sulla versione B della AMR22 e riproposta parzialmente quest’anno e il cofano motore). Ma la macchina presenta anche delle caratteristiche di altre squadre, in primis un concetto estremizzato delle “vasche” Ferrari e Alpine e, come sottolineato da Toto Wolff, una meccanica del posteriore made in Mercedes (motore, cambio e sospensioni). Una vera e propria vettura “Frankenstein” che unisce concetti di varie scuderie in un eccellente equilibrio (almeno sulla pista di Manama). Una cosa già vista nella storia della Formula 1, nella quale gli esempi di ciò si sprecano (basti vedere la somiglianza tra la Brabham BT55 e la McLaren MP4/4, entrambe progettate da Gordon Murray).

E come per la SF-23 c’è stata dietro la direzione tecnica di Binotto prima della sua uscita definitiva da Maranello, nella AMR23 c’è il lascito, sicuramente meno pesante ma comunque fondamentale, di Sebastian Vettel. Il tedesco ha infatti lavorato fianco a fianco a Fallows (col quale aveva già stretto un trionfale sodalizio in Red Bull tra il 2010 e il 2013) e al suo team di progettisti fino alla scadenza naturale del suo contratto con l’Aston Martin nel dicembre 2022, stando alle dichiarazioni del Team Principal Mike Krack.

Una rivincita per il campione tedesco che, stando alle voci, aveva voluto tecnici di Milton Keynes in Ferrari nel suo periodo in rosso, ma la cui richiesta non era stata accolta all’epoca. Troppo chiusa la mentalità autarchica dell’era Marchionne a Maranello, dove si credeva che con soli tecnici “allevati in casa” si potessero battere i giganti inglesi che hanno sempre accolto le più svariate eccellenze da ogni dove. E proprio il team lasciato da Binotto (con adesso a capo David Sanchez ed Enrico Gualtieri) sembra aver fallito insistendo sui concetti della F1-75, rivelatisi già l’anno scorso problematici (soprattutto dopo la discussa Direttiva Tecnica 039).

Lawrence Stroll ha invece messo su ad una seria campagna d’investimenti e talent scouting, strappando uomini fondamentali a Red Bull e anche Mercedes (come l’aerodinamico Eric Blandin). Il miliardario canadese ha sopportato critiche su critiche per le sue scelte che nel 2021-2022 sembravano non aver dato frutti, e se l’AMR23 dovesse confermare nelle gare successive la sua grande forma per l’imprenditore questa sarebbe una grande rivincita sui suoi detrattori.

 

Si sa: a volte bisogna avere l’umiltà e la furbizia di capire dove si sta sbagliando e in che cosa i nostri rivali sono migliori di noi. E spesso è più difficile scegliere la via di “copiare” chi fa bene anziché continuare sulla nostra strada, anche se disastrosa.

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