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DANIEL RICCIARDO: RITORNO DALL’INFERNO

DI SIMONE PACIFICI

«Vedete, per quanto in alcuni momenti la situazione in McLaren sia stata difficile, [la rescissione anticipata del contratto N.d.R.] è stata una benedizione sotto mentite spoglie».

 

Le parole rilasciate da Daniel Ricciardo in una recente intervista a Motorsport.com tracciano quelli che effettivamente sono stati i suoi ultimi anni in Formula 1.

Dopo aver lasciato non senza polemiche la Red Bull nel 2018 a causa di divergenze con il management, che voleva dare maggiore centralità all’emergente Max Verstappen relegandolo ad un ruolo di gregario (decisamente poco rispettoso per un pilota del suo calibro), l’australiano ha deciso a sorpresa di passare alla Renault, sposando un progetto a lungo termine con la casa francese in procinto di rescindere la sua partnership col suo ex team.

 

Una mossa che non portò i risultati sperati, con due stagioni estremamente deludenti in cui Ricciardo si è dovuto accontentare di due podi nel 2020 e di aver battuto di larga misura entrambi i suoi compagni di squadra, Nico Hulkenberg ed Esteban Ocon. Risvolto indubbiamente fondamentale nella sua decisione di lasciare la compagine anglofrancese e accasarsi per il 2021 in McLaren, che puntava a tornare in alto investendo sulla rivoluzione regolamentare del 2022, assicurandosi inoltre una fornitura di power unit dal suo ex partner Mercedes.

 

Ma quello che doveva rappresentare lo zenit della carriera di Daniel Ricciardo si trasformò subito in un incubo, con la sua vittoria a Monza nel 2021, la prima per la McLaren da Brasile 2012, che è stata solo una breve parentesi in un rapporto lavorativo estremamente tormentato.

 

Quasi mai veloce quanto Lando Norris anche a causa della natura delle vetture di Woking, progettate attorno a questi e quindi poco adatte allo stile di guida aggressivo e caratterizzato da continue staccate del pilota di Perth, e mai andato d’accordo con il granitico AD Zak Brown, come ammesso da Ricciardo stesso gradualmente perfino la sua voglia di correre iniziò a scemare. Fatto di cui l’allora Team Principal Andreas Seidl (adesso AD della Sauber che sta compiendo la sua transizione verso Audi) si è assunto le colpe, reo a suo dire di non essere riuscito ad aiutarlo ad esprimersi al meglio e a reggere la pressione di un compagno giovane e veloce come Norris.

 

 

Di certo però Daniel non si aspettava che di punto in bianco la McLaren gli comunicasse il suo licenziamento per fine 2022, una mossa che gli ha tolto molta della fiducia in se stesso che gli era rimasta. Al punto che il TP della Red Bull Christian Horner è rimasto letteralmente sconvolto da quanto la sua persona fosse cambiata in negativo, tanto che in squadra «non lo riconoscevamo più».

 

Eppure, quello che doveva essere un 2023 passato in panchina come terzo pilota Red Bull si è trasformato improvvisamente in una benedizione per Ricciardo: dopo una serie di test con la RB19 dove già si era visto un certo recupero il junior team AlphaTauri gli ha dato una seconda possibilità dopo il licenziamento in piena stagione di Nyck de Vries. E lo ha fatto nel migliore dei modi, mettendosi subito dietro in qualifica e in gara il pilota titolare Yuki Tsunoda in Ungheria.

 

Il pericolo in F1 però è sempre dietro l’angolo, e Ricciardo ne ebbe un promemoria quando a seguito di un incidente nelle prove libere del Gran Premio d’Olanda si trovò con numerose fratture al polso sinistro. Un disastro che ha, ironicamente, permesso a Liam Lawson di debuttare nella massima serie al suo posto, portando a casa come miglior risultato un nono posto al Gran Premio di Singapore.

 

Una pausa forzata da cui però The Honey Badger tornò non meno forte di prima: dopo un rientro senza infamia e senza lode ad Austin a Città del Messico, pista adatta alle caratteristiche della sua AlphaTauri, è tornato ad essere il grande pilota di un tempo, con uno straordinario quarto posto in qualifica davanti perfino all’idolo di casa Sergio Perez, titolare in Red Bull. Una prestazione confermata poi in gara, dove gestendo con calma la situazione e non mettendosi mai nei guai con vetture più veloci della sua ha portato a casa uno straordinario settimo posto, miglior risultato stagionale della squadra e con il quale ha superato in classifica mondiale in un colpo solo i suoi principali rivali, Alfa Romeo e Haas.

 

Un qualcosa sicuramente meritevole di uno shoey “onorario”, e che ha riportato Ricciardo all’attenzione di tutti, dimostrando di non essere finito. Un “ritorno di fiamma” nel secondo team Red Bull simile a quello di Pierre Gasly, che dopo il deludente 2019 nella scuderia maggiore è letteralmente rinato anch’egli in AlphaTauri, arrivando a vincere il rocambolesco Gran Premio d’Italia 2020 e a conquistare nel 2021 un podio a Baku, resistendo nel finale alla Ferrari di Charles Leclerc. Per non parlare di Alexander Albon, pure lui “vittima” della spietata scuola Red Bull e adesso in costante crescita di pari passo con la Williams. Insomma, tutti e tre i piloti sembrano accumunati nel destino dal segno del Toro, nonché messi in ombra dal micidiale Verstappen.

 

Ricciardo sempre a Motorsport.com ha rivelato: «C’erano assolutamente momenti in cui desideravo stare da solo tra i miei pensieri e capire a quale crocevia della mia vita io fossi. […] Ma sapevo che avevo bisogno di tempo per stabilizzarmi e comprendere cosa il mio cuore desiderasse davvero. E alla fine, ho sentito come se gradualmente stessi ottenendo la risposta».

 

Una testimonianza dunque di come non ci si debba mai arrendere alle avversità, anche quando pare tutto volgere al peggio. E adesso che l’AlphaTauri si avvia verso una nuova era con il suo cambio di nome in Racing Bulls (ufficialmente il già controverso Visa Cash App RB F1 Team) Daniel può a 34 anni aprire il capitolo forse finale della sua carriera, ma dove spera di togliersi le sue soddisfazioni anche al volante di una vettura di media classifica e soprattutto divertirsi.

In fondo, è rimasto un allegro ragazzo di Perth sempre col sorriso stampato sul volto.

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