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IL PURGATORIO DI MICK SCHUMACHER

DI SIMONE PACIFICI

Essere un figlio d’arte è una benedizione e una maledizione al tempo stesso. Se hai la fortuna di essere uno dei pochi ad aver ereditato il talento dei tuoi genitori in un determinato campo le tue doti possono venire esaltate all’inverosimile, creando nella gente l’illusione che le tue gesta possano essere una continuazione di quelle della tua famiglia. Di contro, se deludi anche di poco le aspettative finisci per scontrarti con un muro di scetticismo, se non addirittura di vero e proprio disprezzo nei confronti di chi odia il fatto che tu non sia il clone perfetto di tuo padre o di tua madre, affermando che arrechi “disonore” al tuo cognome.

Nel motorsport questo è un qualcosa che è accaduto spesso, in particolare in Formula 1: nei casi di Damon Hill e Jacques Villeneuve (per ironia della sorte pure compagni di squadra in Williams nel 1996) non nemmeno è bastato che i suddetti diventassero campioni del mondo per spegnere il fuoco delle critiche di non essere “degni figli” di Graham e Gilles, con tutto che quest’ultimo non era riuscito a conquistare quell’iride che sarebbe invece arrivata al figlio nel 1997. Se il tribunale popolare ha deciso così, è quasi impossibile fargli cambiare idea.

Sotto la ghigliottina dell’indignazione del pubblico è finito Mick Schumacher, la cui favola motoristica sembrava cominciata all’insegna del successo nelle categorie minori. Arrivati sicuramente un po’ in ritardo, ma ciò è stato anche dovuto alle difficoltà che ha avuto durante l’adolescenza, vissuta all’ombra di un padre che oltre a essere un difficile termine di confronto in pista non gli è nemmeno potuto stare vicino in quei delicati anni perché frenato da un banale incidente sugli sci, lui che ha corso per tutta la sua vita.

Purtroppo per Mick il titolo 2020 di Formula 2 fu a tutti gli effetti il suo ultimo momento felice a livello agonistico: messo subito a confronto con Michael, e quindi con aspettative altissime, si è dovuto scontrare con una realtà estremamente crudele.

Accostato alla Ferrari che gli aveva dato un ruolo da collaudatore e addirittura definito con le iniziali “MSC” dell’illustre genitore sugli schermi tv, il team prescelto per il suo debutto nella massima serie, la Haas, si dimostrò fin da subito il posto peggiore in cui far esordire un pilota. Guidata dall’irascibile e pirotecnico Gunther Steiner, diventato famoso come uomo di spettacolo tramite la docuserie Netflix sulla F1 Drive to Survive più che per sue effettive doti di manager sportivo, la scuderia si è fin da subito rivelata un ambiente poco accogliente per Mick, in quanto “imposto” dalla casa di Maranello che fornisce agli americani motori e supporto tecnico.

Palesemente meno gradito rispetto al suo compagno di squadra Nikita Mazepin, figlio dell’oligarca russo Dimitry, vicino a Vladimir Putin e allora proprietario dell’industria chimica russa Uralchem, che ha a lungo garantito la sopravvivenza del team tramite la sua grande dote economica. Tutto questo con Steiner che mentre non risparmiava critiche al tedesco per ogni minimo errore ignorava i “guai di gioventù” del pay driver russo sia in pista che fuori (manovre al limite della squalifica in gara, una rissa da lui innescata con Callum Ilott ai tempi della Formula 3 europea, velate minacce a George Russell sui social di svelare una sua presunta omosessualità, battute di dubbio gusto sul Covid, un’accusa di molestie sessuali), scaricandolo solo allo scoppio della guerra in Ucraina.

Il ritorno di Kevin Magnussen nella squadra di Kannapolis con uno stellare 5° posto in Bahrain nel 2022 mentre Schumacher rimaneva imbottigliato a centro gruppo e il suo incidente in qualifica a Jeddah hanno portato forse già a inizio stagione alla decisione di Steiner e Gene Haas di licenziarlo. E questo nonostante i miglioramenti visibili del tedesco nel corso del campionato (in particolare i suoi arrivi a punti in Gran Bretagna e Austria), battendo tra l’altro Kevin nel testa a testa interno alla Haas. La carriera del giovane tedesco nella massima serie si è conclusa (almeno temporaneamente) ad Abu Dhabi nel 2022, con un addio freddo da parte della sua squadra che gli ha fatto divieto di fare donuts nel giro di rientro della gara per non danneggiare la macchina.

Ovviamente, Mick si è trovato in mezzo alla bufera dei social dopo il suo arrivederci forzato alla F1. Commenti carichi di odio nei suoi confronti si sono fatti strada nel Web, con gente pronta anche a utilizzare suo padre per sminuirlo e insultarlo, spesso elogiando Steiner (sempre pronto ad autopromuoversi tirando bordate mediatiche al suo ex pilota, forte del consenso popolare) per averlo silurato facendo posto a Nico Hulkenberg, al contrario ammantato di un’aura di campione irrealizzato sulla base della sua unica (ed estremamente fortunata) pole position al Gran Premio del Brasile 2010 e della sua vittoria della 24 Ore di Le Mans 2015 (questa, bisogna dirlo, ottenuta per merito).

Eppure, c’è chi ha “salvato” la sua carriera: dopo un interessamento iniziale da parte dell’allora TP dell’AlphaTauri Franz Tost, bloccato però da Helmut Marko che ha preteso l’ingaggio di Nyck de Vries a Faenza, Toto Wolff, che ha un rapporto stretto con la famiglia Schumacher da anni tramite la Mercedes, ha concesso al ragazzo una seconda occasione nominandolo terza guida e collaudatore ufficiale della casa di Stoccarda per il 2023 e strappandolo così alla Ferrari Driver Academy. In questa stagione il giovane ha potuto dar sfoggio delle conoscenze tecniche acquisite a Maranello, risultando fondamentale alla scuderia di Brackley nello sviluppo della W14. Un fatto che ha spinto il manager austriaco a cercargli un sedile in F1 per il 2024, ricevendo però un secco rifiuto da parte del TP della Williams James Vowles, che ha usato come scusa i dati del simulatore Mercedes che ha ritenuto non soddisfacenti. Opinione contestabile considerando al contrario gli elogi ricevuti da Mick per le sue doti di tester.

Ma proprio quando sembrava finita per Schumacher, costretto a un altro anno in panchina, ecco arrivare un fulmine a ciel sereno: la chiamata dell’Alpine, team col quale si dice avesse avuto contatti per gareggiare in F1 nel 2023, per abbracciare il loro neonato progetto Hypercar nel WEC. Per un’incredibile coincidenza, l’erede del vecchio Campionato Sportprototipi che aveva lanciato il padre verso l’Olimpo dell’automobilismo potrebbe diventare la salvezza della sua carriera (come consigliatogli tempo fa da Bernie Ecclestone). E le impressioni che il team francese ha avuto nei confronti del pilota tedesco dopo le sue prime prove alla guida sembrano davvero buone.

Non si sa come andrà quest’avventura, se sarà un fallimento o un nuovo inizio per Mick Schumacher. Solo il tempo ce lo dirà, ma intanto si può leggere ciò come una testimonianza che pur avendo un cognome pesante ciò non basta per emergere. Bisogna mettercisi d’impegno e anche avere la fortuna dalla propria parte.

 

Se dovesse riuscire in questa impresa, Mick potrà finalmente iniziare a costruire la sua leggenda di araba fenice. Qualcosa che lo differenzierebbe da suo padre.

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