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IL TEMPO DELLE SCUSE E' FINITO

DI SIMONE PACIFICI

Leclerc è disperato: “Mi resta solo Lourdes”. L’ha detto lui… la Madonna gli ha risposto: “Sì, vieni pure, ma portami l’autografo di Verstappen”».

«Neanche lo fanno entrare».

 

Così hanno commentato Rosario Fiorello e Francesco Totti leggendo i titoli dei giornali di lunedì 6 novembre 2023 a Viva Rai2!, all’indomani del Gran Premio del Brasile. E no, non è una presa in giro, il video si può trovare in Rete.

 

La “sfortuna” di Charles Leclerc in Ferrari è diventata il suo marchio di fabbrica. Ci si sarebbe sicuramente aspettati dopo le sue innumerevoli vittorie nelle categorie minori e il suo debutto stellare in Formula 1 nel 2018 con la Sauber un avvenire radioso al volante della Rossa, costellato di successi e, magari, la vittoria del campionato mondiale. Un’intuizione che poteva starci, visto che nella sua prima stagione a Maranello ha battuto il suo compagno di squadra, il quattro volte campione del mondo Sebastian Vettel, per quanto ormai spento e demotivato rispetto ai suoi anni d’oro. Un paragone usato però soprattutto per sminuire il pilota tedesco, e che ha posto il giovane “predestinato” (appellativo amaramente ironico a posteriori) su un piedistallo che ha alla fine della fiera creato sulla sua persona attese eccessive.

 

La Ferrari sotto la guida di Mattia Binotto anziché risolvere i suoi cronici problemi li ha resi ancor più evidenti. Un immobilismo e una difesa degli elementi meno brillanti di Maranello con le scuse della squadra ancora giovane (dopo anni e anni di presenza in quei ruoli) e del bisogno di stabilità, in fortissima contraddizione con l’atteggiamento dell’ingegnere italiano nato a Losanna di eccessiva severità nei confronti dei corridori a lui palesemente sgraditi (in particolare nel caso di Vettel). Un comportamento che, alla lunga, ha portato a un’amara conclusione un rapporto lavorativo lungo 27 anni tra il motorista reinventatosi Team Principal e la Scuderia.

 

Ancora oggi si deve fare i conti con il lascito di Binotto: Frédéric Vasseur è chiamato a ricostruire una squadra palesemente divisa, con molti elementi al suo interno forse impauriti dalla prospettiva di uno “scossone” da parte del manager francese dopo gli anni della “stabilità” binottiana. Ribaltone che però deve ancora arrivare, visto che i problemi cronici della Ferrari permangono, tra cui la fragilità delle componenti meccaniche delle vetture.

 

Se l’affidabilità delle Power Unit è visibilmente migliorata (per quanto non sappiamo se girano davvero spinte al massimo sulle Rosse, visti i guasti delle scuderie clienti quest’anno), lo stesso non si può dire di altre parti della SF-23, come l’elettronica e i sistemi idraulici. La prova lampante di ciò è stata il ritiro di Leclerc nel giro di formazione a Interlagos, dove la telemetria smentisce ogni possibilità di un errore del pilota monegasco. L’unico giallo rimane la ragione per la quale è avvenuto questo inconveniente, sul quale la Ferrari ha deciso di rimanere in silenzio. Come rimane in silenzio su quel team radio di Carlos Sainz durante la gara, che ha affermato di sperare di liberarsi al più presto possibile di questa frizione (altro punto debole del progetto 675).

 

Quel che è certo è che non si vedono progressi nel controllo qualità di Maranello, almeno dal 1998 vanto del Cavallino Rampante: fin dal 2014, anno della rivoluzione turbo-ibrida in cui probabilmente gran parte del know-how acquisito nell’era Todt-Brawn-Byrne è divenuto obsoleto, le Rosse hanno continuamente sofferto di guai tecnici, e uscire dalla solita strategia conservativa ha spesso portato a disastri.

 

Basti vedere nel 2017, con l’enorme macigno del KO in Malesia di Vettel in qualifica (relegandolo a un’ultima piazza in griglia in una gara in cui poteva giocarsi la vittoria) e di Kimi Raikkonen la domenica ancor prima di partire, e quello in Giappone dove il tedesco è stato costretto al ritiro per colpa di una candela su una delle sue piste preferite, Suzuka. Tantissimi punti buttati via che alla fine sono pesati come macigni in un campionato dove Vettel stava facendo un mezzo miracolo restando in lotta nonostante un’auto meno competitiva della Mercedes di Lewis Hamilton, a causa dell’incapacità ormai cronica della Scuderia di portare avanti un progetto di sviluppo intensivo a stagione in corso.

 

Magagne che si sono riviste negli anni successivi, soprattutto dopo lo sciagurato 2020 con l’accordo segreto FIA-Ferrari che ha costretto quest’ultima a ridisegnare la PU, con le ovvie conseguenze. Il 2022 è stato infatti travagliato, con una vettura sì competitiva fino alla pausa estiva, ma dilaniata da rotture continue del propulsore e altre componenti, culminate con la doppia uscita di Leclerc e Sainz dal Gran Premio dell’Azerbaigian.

 

E se dal punto di vista del motore le cose sembrano quantomeno migliorate, è tutto il resto che non va sulla SF-23. Una macchina fragile, sofferente di problematiche ormai facenti parte del naturale ciclo di realizzazione delle auto di Maranello, e che sembra aver addirittura perso la velocità che poteva vantare la F1-75.

 

E questo non può essere considerato come semplice sfortuna, contrariamente a quanto dice Charles. È un “vizio” ormai consolidato della Ferrari, per il quale non possono esserci più giustificazioni. Soprattutto in considerazione delle risorse di cui dispone la Scuderia, che dovrebbe almeno garantire la costruzione di vetture solide.

 

A Vasseur bisogna sicuramente concedere tempo, ma l’atteggiamento non sembra quello giusto. Nascondere i problemi quando sono più che evidenti è una tattica che aumenta solo le voci negative, un errore nel quale è caduto anche Binotto e che ha rappresentato la sua condanna. Forse nemmeno una comunicazione mediatica troppo schietta alla Maurizio Arrivabene è la via da seguire, ma far finta che non ci siano dei guai in squadra quando sono più che palesi rischia di dare l’idea che non li si voglia affrontare di petto. E questo non è ciò di cui Vasseur ha bisogno in questo momento.

Il tempo delle scuse è finito in Ferrari.

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