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L'IMPORTANZA DEL CONCEDERE TEMPO

DI SIMONE PACIFICI

La conquista del suo terzo titolo mondiale in Qatar da parte di Max Verstappen è stata senz’ombra di dubbio un momento storico per la Formula 1. Il pilota olandese è entrato in un club esclusivo, sedendosi sullo stesso scranno di Ayrton Senna, Jackie Stewart, Niki Lauda, Jack Brabham e Nelson Piquet.

 

Nomi di grandissimo spessore, ognuno dei quali può raccontare una storia a sé. Il coraggio e la caparbietà di Ayrton. La capacità di guardare al futuro di Sir Jackie. L’incredibile tempra e determinazione di Niki. Il grande fiuto di Black Jack nel saper trovare le persone giuste con cui costruire una squadra tutta propria per vincere con essa la sua terza iride (caso unico nella storia). Il carattere costantemente fuori dalle righe di Nelson e dal suo essere un nomade, in quanto preferiva vivere in barca anziché in una casa, tanto da valergli il soprannome di Zingaro.

 

Anche Max è grande a suo modo: estremamente aggressivo, privo di ogni remora nei confronti dei suoi avversari, ha debuttato in F1 nel 2015 a soli 17 anni con la Toro Rosso (più giovane esordiente di sempre) e a 18 ha vinto alla sua prima gara in Red Bull, il Gran Premio di Spagna 2016. Da lì un percorso di crescita pieno di picchi, ma pure di errori madornali in pista e manovre molto scorrette: celebre fu una ramanzina indirizzatagli dall’Uomo di Ghiaccio Kimi Raikkonen per aver scatenato alla partenza del Gran Premio del Belgio 2016 una collisione a catena tra la sua Ferrari e quella del compagno di squadra Sebastian Vettel.

 

Quasi un preludio al tremendo botto che vi fu l’anno dopo a Singapore, con Verstappen a sandwich tra i due piloti in rosso. La gara finì lì per tutti e tre. In quel momento probabilmente l’olandese divenne il corridore più odiato dalla tifoseria ferrarista di allora, specialmente dopo aver affermato di essere stato “contento che siamo usciti tutti”. Una dichiarazione velenosa che non sarebbe stata l’ultima nei confronti della Rossa, tra continue frecciate e accuse di avere un vantaggio tecnico illecito, culminando nel 2019 quando commentò così la pessima prestazione delle vetture di Maranello dopo il Gran Premio degli Stati Uniti: “Succede quando smetti di barare”. Questo alludendo alle voci (che sarebbero state indirettamente confermate l’anno dopo dall’accordo segreto con la FIA) secondo le quali all’epoca la Ferrari utilizzasse una power unit che dava loro un vantaggio irregolare (s’ipotizza tramite un flussometro “truccato”).

 

Nemmeno con i suoi compagni è tenero: la rivalità con Daniel Ricciardo che ha toccato il suo apice con il loro incidente a Baku nel 2018 rappresentò un punto di non ritorno per la Red Bull, che sacrificò il talentuoso australiano per garantire un ruolo da prima guida assoluta a Verstappen che non sarebbe stato mai più messo in discussione.

Testimonianza di un pilota spesso oltre il limite, a volte scorretto, ma che ha comunque entusiasmato i fan con la sua capacità di fare grandi rimonte e compiere gare spettacolari su mezzi non eccellenti prima di divenire l’ennesimo “noioso” dominatore della categoria. Uno, quindi, che non avrebbe bisogno di paragoni con nessuno. Semplicemente, lui è Max Verstappen.

 

Eppure, come abbiamo ben visto il giorno in cui ha conquistato a Losail il suo terzo titolo mondiale, tanti sono cascati nella trappola del paragone con i corridori del passato: non pochi tra giornalisti e opinionisti si sono spesi infatti in parallelismi tra l’olandese e campioni leggendari. Tutto questo dimenticandosi che questi ha solo 26 anni e ancora un’intera carriera dove sì, potrebbe distruggere tutti i record, ma al contempo non sappiamo se già dall’anno prossimo la superiorità della Red Bull potrebbe essere messa in dubbio, ribaltando ogni pronostico.

 

Già successe con piloti del calibro di Fernando Alonso e Sebastian Vettel, entrambi visti come candidati all’abbattimento di ogni record di Michael Schumacher, per giunta sulla Ferrari che rese tanto vincente il sette volte iridato tedesco. Andò a finire invece che si sono trovati entrambi davanti il muro invalicabile di una Rossa sempre più in declino rispetto al quinquennio d’oro della gestione Todt.

 

Addirittura, parlando di titolati in tuta Red Bull si è arrivati in alcuni casi a scomodare un fittizio confronto Vettel-Verstappen, affermando che Max starebbe dando un’idea di dominio più schiacciante rispetto a Seb. Un paragone azzardato, figlio probabilmente più del tifo verso un determinato corridore, visto che le condizioni in cui si trovano i due sono molto diverse tra di loro.

 

Sebastian Vettel ha infatti gareggiato con una Red Bull ancora molto giovane, che non era ancora la corazzata inaffondabile che oggi tutti temono. Quasi sempre dotata delle vetture più performanti dal punto di vista puramente velocistico, ma al tempo stesso estremamente fragili, che spesso hanno portato il tedesco a dover rinunciare a vittorie sicure per arrivare al traguardo, o addirittura a ritiri che portavano alla perdita di punti determinanti per il campionato. Senza dimenticare, inoltre, che la squadra non era ancora infallibile come oggi, e non di rado si vedeva la crew “lattinara” commettere errori di strategia o di gestione dei piloti, in particolare con Mark Webber che arrivava a danneggiare il suo stesso compagno in situazioni in cui lui era coinvolto nella lotta per il mondiale (prima tra tutti la partenza del Gran Premio del Brasile 2012).

 

Max Verstappen invece è il prodotto di punta della Red Bull “matura”, che dopo quattro anni di dominio ha dovuto fare i conti con una prima era ibrida difficilissima, dove si è potuta giocare soltanto sporadiche vittorie prima del rocambolesco 2021 che lo ha definitivamente consacrato. Un team che ha superato tante avversità, diventando molto più affiatato ed efficiente rispetto al 2010-2013, dotato di una precisa gerarchia con Sergio Perez nel ruolo di “scudiero” di Max e con delle vetture che sono forse l’apice del genio di Adrian Newey, velocissime e affidabili. L’elemento di “punta” ovviamente rimane Verstappen, il miglior pilota della sua generazione al momento, che ha sicuramente il potenziale di abbattere tutti i record di Vettel internamente al team anglo-austriaco (parliamo pur sempre di uno che vinse il suo primo GP in F1 a 18 anni).

 

Bisogna però ribadire questo: il paragone sportivo con il passato è sempre un’arma a doppio taglio. Al momento ci potrà sembrare che l’olandese possa battere ogni record. Ma il motorsport è imprevedibile, non possiamo sapere quanto a lungo la Red Bull manterrà la sua superiorità sul resto della griglia. In caso si dovesse tornare ad una situazione di maggior equilibrio tra le forze in campo rivedremo inevitabilmente un Max Verstappen più “umano”, e sarà questa la prova finale della sua maturità.

 

 

Indubbiamente ha le carte in regola per diventare uno dei più grandi della storia, ma come le biografie di altri piloti insegnano niente prima di passare sotto la bandiera a scacchi è scontato. E il nostro velocissimo ragazzo dovrà ancora passarne di avversità prima di arrivare a quel traguardo dove non avremo più ogni dubbio su di lui, anche meramente statistico. La leggenda di Super Max è solo all’inizio.

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