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COSA CI DICONO LE LACRIME DI RUSSELL

DI CARMEN PETRILLO

Nella notte di Singapore, sotto il cielo stellato e illuminato dai fuochi d’artificio, si sono intrecciate due storie che, per quanto all’inizio potessero sembrare simili, alla fine hanno avuto epiloghi molto diversi tra loro: da un lato la gioia di Carlos Sainz per la seconda vittoria in carriera, in un anno difficile per la Ferrari, dall’altro le lacrime e la delusione di George Russell, forse vittima dell’impazienza, della voglia di riportare in alto la Mercedes e ripagare la squadra per la fiducia mostratagli. Sono due facce della stessa medaglia, che ancora una volta ci danno conferma di quanto la Formula 1 possa regalare gioia, felicità, appagamento, ma al tempo stesso essere causa di frustrazione, dolore, delusione.

 

Il volto segnato dalla stanchezza, gli occhi lucidi, la voce rotta mentre dice “mi sento come se avessi deluso me stesso e la squadra”. È così che George Russell si presenta alle interviste post gara, dopo un gran premio sofferto, in cui, fino all’ultimo giro, ha creduto di poter rivivere le emozioni di Interlagos 2022 e di salire, per la seconda volta in carriera, sul gradino più alto del podio. Poi, le lacrime, che sembrano quasi impercettibili, ma che sono lì, sul suo viso, e ci dicono tante cose. 

Ci raccontano dei sacrifici fatti dall’inizio della sua carriera fino al punto in cui si trova ora, degli anni passati in Williams a lottare nelle retrovie in attesa della monoposto giusta. Di Sakhir 2020, dove per la prima volta abbiamo assaporato il suo talento, e dove non ha potuto far altro che assistere, inerme, al sogno di una vita frantumarsi in mille pezzi.

Le lacrime di Sakhir e quelle di Singapore un po’ si somigliano, anche se sono state versate in due contesti diversi.

 

A Sakhir, George è ancora un pilota della Williams e appena ha la possibilità di guidare la macchina di Lewis Hamilton, non ci pensa due volte: quella è la sua occasione di farsi notare da un top team, di dire “Guardate che ci sono anche io qui”. George fa tutto alla perfezione e più si avvicina alla bandiera a scacchi, più si fa reale, quel sogno, quello che custodisce nel cassetto da quando era bambino. Ma a volte il talento, anche quello cristallino e puro, nulla può contro il destino. Basta un attimo, un istante, e ritorni alla realtà, lontanissimo da quel sogno che stavi per afferrare. A quel punto, col cuore spezzato e pesante, non ti resta che accettare che quello, forse, non era il tuo momento. Davanti alle lacrime di questo giovane pilota, il tifo si annulla, non esistono più colori o simpatie. Esiste solo il sogno spezzato di un ragazzo di 22 anni che non ha paura di mostrare al mondo la sua fragilità. Con le telecamere puntate addosso, George si accascia a terra, incredulo e amareggiato, si mette le mani tra i capelli perché ancora non ci crede. 

Forse è proprio a Sakhir che conosciamo il vero George Russell: un ragazzo giovane ma con la mentalità del campione, coraggioso ma al tempo stesso fragile, destinato a fare grandi cose.

Il George di Singapore, invece, è diverso: un pilota ormai maturo, al suo secondo anno in Mercedes, il team che ha riposto così tanta fiducia in lui, che crede nelle sue potenzialità.

 

Il weekend inizia benissimo, meglio di quanto ci si aspettasse e il sabato, nelle qualifiche, dà prova delle sue capacità piazzandosi in seconda posizione, tra le due Ferrari e a soli 72 millesimi dal poleman. Un giro mostruoso, quasi da pelle d’oca, che lascia presagire un podio tutt’altro che scontato. Dopo l’uscita della Safety Car e il cambio gomme, George sa bene che quella è la sua occasione: inizia a credere per davvero che a Singapore possa, finalmente, salire sul gradino più alto del podio. Tutto fila liscio, fino all’ultimo giro della gara. Quell’ultimo giro in cui George, dopo aver provato più volte a passare i piloti davanti a lui per cercare di agguantare la seconda vittoria in carriera, commette un errore e va a muro. Proprio come tre anni prima nel deserto del Bahrain, in un istante cambia tutto e svanisce, ancora una volta, quel sogno.

 

E così, mentre da un lato c’è Carlos Sainz che, allo sventolare della bandiera a scacchi, si apre in team radio e inizia a canticchiare, felice come non mai, dall’altro c’è l’urlo di George Russell, un urlo quasi disperato, che esprime tutta la delusione e l’amarezza per un podio sfumato all’ultimo.

Anche le lacrime di Singapore, come quelle di Sakhir, ci dicono qualcosa di George.

Ci mostrano che è sempre lo stesso, anche se sono passati tre anni, anche se dalla lotta nelle retrovie è passato alla lotta per i podi e le vittorie: è sempre lui, George, che in un momento del genere non riesce a trattenere le emozioni e nemmeno cerca di nasconderle, perché lo sport è fatto di questo, di emozioni.

Queste lacrime ci dicono che George, nonostante l’esperienza accumulata, ha paura di deludere la squadra che più di tutte ha creduto in lui, offrendogli la possibilità di lottare per le posizioni che contano.

Questa volta, però, a differenza di Sakhir, c’è più intransigenza verso un errore del genere, commesso in un momento così delicato, in cui mantenere la concentrazione è fondamentale. Tutti ormai sanno di cos’è capace George Russell, perché in fondo non è più un rookie e certi errori non sono più permessi.

Ma sono quelle lacrime che ci dimostrano che alla fine è una persona anche lui, che commette errori, ed è giusto che lo faccia, ora che è giovane e che ha tutto il tempo di imparare e migliorare.

Un’altra cosa che ci dicono le sue lacrime, una delle più importanti, è che nella vita, così come in Formula 1, ogni cosa accade per una ragione e quando tutto sembra andare storto, forse non è il momento giusto. E va bene così, perché prima o poi quel momento arriverà e sarà allora che ricorderai che le lacrime, la delusione, il dolore, sono serviti a prepararti a qualcosa di meglio.

Perché dopo una gara come Sakhir 2020 ce n’è un’altra come Interlagos 2022, basta solo aspettare.

 

 

 

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