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AVRA' FINE LA FAME DEI PILOTI FERRARI?

DI MARCO TERRAGNI

Il sogno Ferrari. Guidare per la rossa è spesso per molti piloti uno degli obiettivi della propria carriera sportiva. Un ideale che profuma di gloria e che può rendere sportivamente immortali. Ma questa visione è stata spesso sfuggente e frustante, trasformandosi per molti di loro in un buco nero, consumati dal peso della leggenda rossa. Per molti dei protagonisti il team di Maranello si trasforma in una figura titanica, quasi orrorifica e che richiama alla mente un famoso quadro di Goya come “Saturno che mangia i propri figli”. Una pittura che trae ispirazione dal mito greco e che racconta l’orrore di Crono, il padrone del mondo prima della generazione degli dei olimpici che per evitare di perdere il proprio potere e di essere spodestato come aveva fatto lui con il padre Urano, iniziò a divorare i propri figli appena nati.

 

Un’identificazione, quella tra Ferrari e il capo dei titani che ha radice profonde.

 

Infatti nel 1958 l’Osservatore Romano, il giornale ufficiale del Vaticano, paragonò Enzo Ferrari ad un Saturno moderno, capitano d’industria e grande protagonista nel mondo delle competizioni automobilistiche dalla Formula 1 alla 24 ore di Le Mans che per alimentare la leggenda delle sue macchine è pronto a sacrificare i suoi piloti, disinteressandosi della loro sorte sui circuiti di tutto il mondo in un periodo in cui gli incidenti mortali erano purtroppo frequenti in pista. Ne usciva fuori un’immagine fosca del patron modenese, il cui rifiuto di allontanarsi troppo dal proprio centro di potere (raramente andava in pista per i weekend di gara) fece aumentare la diffidenza nei suoi confronti, un burattinaio che opera dietro le quinte e muove i fili dei propri piloti-marionette senza mai apparire in scena. 

Oggi questa immagine cruda, quasi fuori tempo è ancora attuale. La pressione sui piloti che hanno il compito di guidare le rosse è sempre a livelli altissimi, nettamente superiore rispetto ad ogni altro team. Chiamati a combattere non solo contro gli avversari in pista ma molto spesso, paradossalmente, quasi contro lo stesso team che sembra non supportarli completamente nei momenti di difficoltà, con un ambiente esterno e interno  pronto a stroncare il driver di turno ad eventuali errori, quasi un capro espiatorio che permette di coprire le colpe del team.

 

La storia recente del cavallino rapante è una storia di insuccessi, una situazione che sembrava essersi interrotta dopo i successi di Michael Schumacher nei primi anni 2000, che aveva riportato il titolo a Maranello dopo un’attesa lunga ventun anni e dopo che illustri piloti come Prost, Mansell, Alesi, Alboreto, Arnoux... avevano mancato l’opportunità, per colpe spesso non imputabili a loro.  Ma negli ultimi anni la situazione è peggiorata con il titolo mondiale piloti manca dal 2007, il costruttori dal 2008 e anche quando in grado di realizzare ottime auto non riesce mai ad arrivare alle fasi finali per il campionato ancora in lotta. In questi anni si è assistito a molti capri espiatori per giustificare le sconfitte, qualcosa che ha riguardato tutti: presidenti, team principal, tecnici ma chi è spesso finito sulla barra degli imputati come maggiori colpevoli sono sempre loro, i piloti. Eppure Ferrari ha potuto beneficiare tra le sue fila negli ultimi 15 anni di ben tre campioni del mondo come ad esempio Kimi Raikkonen, ritornato in Ferrari nel 2014 dopo aver portato l’ultimo campionato piloti in Italia, ma che non gli impedirà di essere giubilato a fine 2009 ma anche due dei tre migliori piloti della scorsa generazione di piloti come il due volte campione del mondo Fernando Alonso e il quattro Sebastian Vettel. Illudendosi che il problema principale fosse il finalizzatore, Ferrari ha puntato su di loro nello scorso decennio per uscire dal digiuno iridato, finendo per divorarli sull’altare delle speranze tradite. Alonso, assunto nel 2010, arrivò a giocarsi il titolo all’ultima gara in ben due occasioni. Nel primo anno perdendo un mondiale per una errata valutazione strategica nell’ultima gara mentre nel 2012 il titolo sfuggì dalle sue mani a causa di un mezzo non a livello della concorrenza. Nonostante l’impegno del pilota asturiano, proprio lui venne indicato tra le cause principali delle mancate vittorie, con accuse al pilota spagnolo di dividere il team e di non essere in grado di dare giuste indicazioni di sviluppo. E quindi alla fine del 2014 avviene la separazione.

 

 

Ma chi per sostituirlo? Chi se non il pilota che per due volte aveva infranto i sogni rossi, capace di vincere 4 mondiali consecutivi: Sebastian Vettel. Chiamato a fare quello che Alonso non era mai riuscito a raggiungere, il tedesco sembrava come si dice, il profilo perfetto. Un  grande tifoso Ferrari, con il sogno di guidare l’auto rossa come il suo idolo Michael prima di lui. Dopo una prima stagione promettente ed un 2016 molto difficoltoso il nuovo ciclo tecnico sembrava rappresentare l’occasione giusta. L’alfiere tedesco in due occasioni Ferrari riuscirà per 2/3 della stagione a contendere il titolo alla corazzata Mercedes ed Hamilton, nel 2017 e 2018. Ma anche in questo caso l’inferiorità tecnica, l’incapacità di portare sviluppi ed errori da parte di team e pilota non daranno la possibilità al binomio Vettel-Ferrari di agguantare il frutto delle proprie fatiche. E il 2018 fu l’inizio della fine per l’esperienza di Sebastian in rosso, con stampa ed opinione pubblica che soprattutto dopo la gara di Monza lo individuò come principale responsabile degli insuccessi della squadra, scaricando il peso degli errori tecnici solo sul pilota accusandolo di sbagliare nei momenti decisivi e sprecare il supposto potenziale tecnico a disposizione. E finì che, come sempre succede a Maranello fu il pilota a pagare per tutti con il suo mancato rinnovo all’alba del 2020.

Il suo posto nel progetto Ferrari e nel cuore dei ferraristi è stato preso da Charles Leclerc, arrivato in squadra nel 2019 ad un solo anno dal debutto in F1 e con il progetto di fare di lui il volto nuovo ella riscossa. Il monegasco è stato il primo elemento cresciuto all’interno dell’Accademy Ferrari ad essere promosso nella squadra di Maranello dopo averci militato fin dai primi passi nel Motorsport vincendo nelle categorie propedeutiche dimostrando di essere uno dei talenti migliori della attuale generazione di piloti, il profilo di pilota ideale per costruirci attorno la squadra del futuro, con cui crescere insieme. Ma le difficoltà tecniche, già presenti dal 2019 sono esplose nel 2020 e 2021 con due stagioni vissute per Ferrari nel gruppo di centro dello schieramento, lontano da Mercedes e Red Bull obbligando gli alfieri rossi a prestazioni superlative per raggiungere solo alcuni podi. La stagione 2022 sembrava essere la stagione del riscatto ma ancora una volta le difficoltà tecniche e di sviluppo, costante a Maranello, e gravi errori strategici hanno impedito al pilota monegasco di poter contendere il titolo mondiale la cui immagine simbolo è rappresentata dall’immagine di Binotto, Team Principal della scuderia che dopo la gara di Silverstone che  reguardisce il proprio pilota, colpevole solo di essere deluso per l’ennesimo errore del team che gli costava l’ennesimo successo mancato. Un’immagine che rappresenta appieno l’attuale situazione Ferrari, con il pilota che viene sacrificato per salvare l’immagine della squadra. Ora la stagione 2023, con un’auto poco competitiva e spesso quarta forza, oltre che i dubbi sul futuro mettono un’ipoteca sul futuro a lungo termine di Leclerc in Ferrari, che inizia ad essere visto da molti come una delle cause delle difficoltà della Ferrari, per i troppi incidenti durante le sessioni in macchina, poco costante e incapace di fare il salto in avanti decisivo.

La realtà e che la Ferrari negli ultimi anni ha sofferto di messianismo, affidandosi a tre dei migliori piloti in circolazione per provare a risalire la china. Ma mettendogli sulle spalle tutto il peso della responsabilità e non dandogli quasi mai un mezzo a livello della concorrenza, con il pilota di turno che deve spesso fare prestazioni che vanno oltre le proprie possibilità per dare alle auto rosse una possibilità e compensare l’inferiorità tecnica. Ma questo porta inevitabilmente ad errori che sono costati molto al termine della stagione. Ma la colpa alla fine è sempre ricaduta solo sui piloti, colpevoli di non essere riusciti nell’impossibile. E finisce che ognuno di loro, che avevano iniziato con entusiasmo e speranze l’avventura ne finiscano quasi a pezzi, divorati dall’ambiente Ferrari e da un peso insostenibile. Arrivati al sedicesimo anno di digiuno iridato, è oramai chiaro che Ferrari continua a  divorare i suoi figli prediletti, ma oramai è una fame che finirà alla fine per divorare se stessa, senza più neanche il mito che la sostiene.

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