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STIRLING MOSS: UN RE SENZA CORONA

DI LAURA PIRAS

Sono passati 3 anni dalla morte di Stirling Moss, 3 anni dalla perdita di un gigante fra i giganti, di un uomo caparbio e determinato, uomo caratterizzato da una tempra di altri tempi. 

 

Moss non fu un pilota veloce, fu velocissimo ma, nonostante fosse animato da venti amici, non riuscì mai a coronare il suo sogno più grande, quello di laurearsi campione del mondo di Formula 1.

 

E' un Re senza la Corona, è uno di quei piloti considerato da tutti come l'eterno secondo: fu ben quattro volte (consecutivamente) secondo nella classifica piloti  (1955, ’56, ’57 e ’58) e giunse terzo nei tre anni successivi.

 

Ma stiamo parlando di un'epoca in cui c'era l'imbarazzo della scelta fra i piloti impegnati nelle attività sportive motoristiche, erano gli anni per esempio di Juan Manuel Fangio, considerato ancora oggi come uno dei più grandi piloti di sempre.

Arrivare secondo in classifica dietro un peso massimo del genere era comunque un'autentica vittoria, un'impresa quasi titanica, non per Moss che avrebbe voluto fortemente vincere, ma per noi la sua figura si veste di contorni decisamente più gratificanti. 

 

Moss nel corso della sua immensa carriera ha siglato record veramente particolari: è colui che, ancora oggi, ha vinto più gran premi di tutti senza esser diventato campione del mondo ed è stato uno dei pochi (insieme a Phil Hill e Maurice Trintignant) ad essersi intascato una vittoria sia con una vettura a motore anteriore sia posteriore.  

 

E per terminare questa carrellata di record, di numeri, perché lo sport è anche questo, aggiungiamo oltre 200 vittorie distribuite in varie competizioni: competizioni Turismo, GT e anche qualche rally

 

Fra le sue vittorie più famose ci sono l'edizione del 1954 della 12 Ore di Sebring con il copilota americano Bill Lloyd, dove Moss divenne il primo non americano a vincere la gara. Nel 1955, Stirling Moss vinse la Targa Florio con il copilota britannico Peter Collins. Nello stesso anno Moss vinse anche l'estenuante Mille Miglia insieme al navigatore Denis Jenkinson su una Mercedes-Benz 300 SLR

 

Che ingordigia di vittorie per Moss, che versatilità per un pilota che, nonostante privo di titolo mondiale piloti, ha comunque caratterizzato un'epoca. 

 

 

 

In Formula 1, probabilmente la sua annata migliore può essere considerata quella del 1958 quando, con la Vanwall, riuscì a portare a casa  4 vittorie contro l'unico trionfo di Hawthorn, in Ferrari, che riuscì a laurearsi campione del mondo. 

Moss fu uno dei pochi piloti a fronteggiare con forza e senza paura Juan Manuel Fangio, in merito a questo voglio ricordare un episodio davvero singolare. 

 

Dal 1958 passiamo al 1955. Moss aveva 26 anni, un giovanotto rispetto ai target della F1 di allora e vinse il suo primo gran premio, in Gran Bretagna ad Aintree. Fangio invece aveva 44 anni e avrebbe vinto di lì a poco il suo terzo titolo mondiale. Entrambi però avevano un punto in comune, entrambi guidavano per la Mercedes, entrambi sulla fortissima W196.

 

Già dalle qualifiche Fangio aveva beccato un discreto ritardo da Moss che aveva conquistato la pole position, il gap era  precisamente di due decimi. Alla domenica i due fecero di nuovo il bis e confermarono la doppietta siglata durante le qualifiche. Moss vinse su El Chueco per due decimi. (stesso distacco del sabato)

 

Al termine della gara Moss chiese al rivale: “Mi hai lasciato vincere?. La risposta di Fangio fu: “No: è soltanto che oggi sei stato più bravo di me”.

 

Fra due era scattata quella scintilla di una rivalità sana e costruttiva, di una successione che potesse essere abbastanza spontanea. Moss aveva un’opinione abbastanza decisa e netta sui valori in campo fra i due, molte volte gli veniva chiesto un parere sulla forza di Fangio e spesso rispondeva, senza peli sulla lingua: “Non saprei: non gli sono mai arrivato abbastanza vicino per capire dove va a mettere le ruote anteriori in entrata di curva”.

 

Pilota controcorrente, britannico sino nelle viscere, talmente tanto che spesso e volentieri ha voluto gareggiare con vetture inglesi. “Meglio perdere con onore al volante di una vettura britannica – disse - che vincere con una di nazionalità diversa”.

 

 Questo trend venne confermato anche dopo la gara che imprimerà un cambio di tendenza sulla sua carriera: Goodwood 1962. Moss partecipò al Glover Trophy a bordo di una Lotus allestita dal suo meccanico di fiducia.

L'incidente fu veramente molto serio, tanto che il campione inglese entrò in coma e ci rimase per un mese, ad aggiungersi a questa incresciosa dinamica ebbe anche una paralisi alla parte sinistra del corpo, paralisi che durò per parecchi mesi. 

Quando provò a tornare alle corse lo fece sempre con una Lotus ma si rese conto, già da subito, che oramai il treno era passato, che non poteva più continuare a correre con una certa costanza e forza.

Decise di abbandonare la formula 1 ma non stroncando ogni possibile occasione futura di tornare dentro un abitacolo. 

 

Fece un piccolo capolino nel mondo delle corse nel 1968 al Nürburgring, disputando la 84 ore e mostrando anche una certa forza. Questa volta non corse con auto inglese ma si alternò, al volante di una Lancia Fulvia HF ufficiale, con Innes Ireland e Claudio Maglioli.

Moss attuò una piccolissima apparizione nel BTCC (British Touring Car Championship) nel 1980, facendo coppia con Martin Brundle a bordo di un' Audi.

Moss aveva rinunciato solo alla Formula 1 ma non aveva mai detto addio al mondo delle corse. Questo avvenne nel 2011 quando arrivò l'annuncio ufficiale in occasione delle prime prove della Le Mans Classic, una gara di contorno alla vera e propria 24 ore di Le Mans: «Smetto con le corse» Poche parole, sintesi perfetta di una decisione arrivata con spontaneità e tranquillità.

Vorrei terminare questo articolo con il ricordo di Enzo Ferrari su Stirling Moss. Potete ritrovare questo estratto nel libro Piloti che Gente (di cui consiglio la lettura). 

 

"La mia opinione su Moss è semplice: è l’uomo che ho ripetutamente accostato a Nuvolari. Aveva smania di correre, andava forte su qualsiasi macchina, aveva il gran pregio di giudicare una vettura soltanto attraverso il cronometro, cioè sul tempo che su un dato percorso essa gli consentiva di realizzare. Di Moss ho detto anche una volta che era un pilota che aveva il senso dell’incidente; e proprio in certe sue uscite di strada, come in certe uscite di strada di Nuvolari rimaste storiche, io ho trovato una analogia veramente curiosa per l’epilogo che non ha mai raggiunto la tragedia. Se Moss avesse anteposto il ragionamento alla passione, si sarebbe laureato campione del mondo, essendone più che degnoHo conversato a lungo con Stirling Moss una sola volta ed è stato il 10 aprile 1962. Venne a trovarmi a Maranello, mi chiese di accompagnarlo in un giro dell’officina, sostò nei diversi reparti, si informò di un mucchio di cose con competenza veramente sorprendente, infine indugiammo, a colazione, in un lungo colloquio. La conclusione fu inattesa. A un certo punto gli dissi: “Anche un costruttore, per realizzare una grande macchina, la migliore macchina possibile, ha bisogno di avere anzitutto i suggerimenti del miglior pilota. Così sarebbe interessante, per me, sapere da lei come dovrebbe essere questa macchina-tipo, che rappresenti l’intelligente compromesso da impiegare sui diversi circuiti” Mi rispose: “Mister Ferrari, io le scriverò una cartella sulla quale indicherò quelli che sarebbero i desideri di un pilota come me”. Sfortunatamente dopo questo incontro che ci aveva aperto amichevoli prospettive, Moss ebbe un grave incidente. Due mesi dopo, ormai convalescente pur se ancora in clinica, mi scrisse una lunga lettera in cui mi assicurava che la sua salute migliorava decisamente, e mi parlava di un certo motore potente per una vettura Sport e di molte altre cose legate alle corse. Concludeva dicendo che a convalescenza finita ci saremmo dovuti rivedere: era la sua grande speranza, o dovrei dire illusione perché fu costretto ad abbandonare. È rimasto nell’ambiente come cronista. Anche per lui, quando ha occasione di passare nelle vicinanze, la fermata a Maranello è di rigore“.

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