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QUANDO IL TEMPO E' GALANTUOMO

DI SIMONE PACIFICI

Ci è voluto tempo perché molti dei critici più estremi di Sebastian Vettel ammettessero che i problemi della Ferrari nel 2017 e nel 2018 non dipendessero unicamente da lui. A lungo molti esperti di automobilismo si sono lasciati ingannare dalle analisi di fonti sbilanciate a favore di Lewis Hamilton, le quali spesso non tenevano conto dell’enorme crescita del suo mezzo meccanico nel corso del campionato. Merito di un reparto tecnico della Mercedes che ha sicuramente beneficiato dell’immenso vantaggio di power unit avuto per tutta la prima era ibrida (soprattutto agli inizi), ma che con risorse economiche spesso inferiori alla Ferrari e strappandole ingegneri validi come Aldo Costa, James Allison e Lorenzo Sassi ha sempre ribadito la sua supremazia grazie allo sviluppo delle sue vetture da metà stagione in poi ogni volta che le Frecce d’Argento si sono scontrate con le Rosse per il titolo.

 

Un team che, come ammesso dal suo Team Principal Toto Wolff, è stato modellato attorno alla mentalità vincente portata da Michael Schumacher, padre fondatore assieme a Ross Brawn della Mercedes odierna, la quale ora ha la forza di ammettere, a differenza della Ferrari, che la sua filosofia attuale di monoposto a “zero pod” è fallimentare. Un’umiltà invece che non si è mai vista presso Maranello negli ultimi anni. Probabilmente frutto della chiusura del modello “autarchico” voluto da Sergio Marchionne, con tecnici nati e cresciuti professionalmente nella GES e con apporto dalle altre squadre quasi pari a zero (nella volontà palese di creare una Motor Valley “italiana” al pari di quella inglese dove operano Mercedes e Red Bull). Un progetto del quale non abbiamo mai visto la conclusione a causa della morte del Presidente, ma che, col senno di poi, era molto difficile che avesse successo.

 

Se perfino commentatori che un tempo li difendevano a spada tratta adesso ammettono che Mattia Binotto e David Sanchez (due dei pilastri tecnici della Ferrari di Marchionne) non siano infallibili come prima venivano definiti allora il progetto forse era destinato a fallire fin da quando Allison ha lasciato la Scuderia (anche se il suo vero declino è probabilmente iniziato con l’addio di Aldo Costa nel 2011). E soprattutto che Vettel non era il principale problema della Ferrari.

 

Certo, Sebastian non è esente da sue colpe, soprattutto nella seconda metà del 2018 (gli errori di guida sono sotto gli occhi di tutti), ma siamo onesti: ci sarebbero state davvero possibilità di vincere il titolo pure se avesse avuto la vociferata freddezza di Fernando Alonso (anche se in realtà, 2012 a parte, nemmeno lui fu sempre perfetto al volante) o il ritmo “a martello” di Hamilton?

 

La verità, ammettono tanti che lavoravano e lavorano ancora oggi in Ferrari, è che pure senza sbagli da parte di Vettel quelle vetture a lungo termine non avrebbero mai retto la lotta con le Mercedes. E di certo non ha aiutato l’ambiente di Maranello, notoriamente divisa in fazioni interne che si fanno spesso la guerra tra di loro. Vedasi la vicenda che ha portato Binotto a fine 2018 a spodestare Maurizio Arrivabene e a prendere il controllo assoluto della squadra, pretendendo di detenere i ruoli di Team Principal e Direttore Tecnico insieme (cosa già aborrita da Enzo Ferrari che impose la loro divisione una cinquantina di anni fa, figurarsi al giorno d’oggi dove è tutto più complicato). E ora che l’ingegnere di Losanna non c’è più vecchi rancori internamente alla GES stanno sicuramente riaffiorando, e questo rende ancor più difficile la nuova gestione di Frédéric Vasseur.

 

Permettete un commento personale: sarebbe ora di chiedere scusa a Sebastian Vettel, sia da parte della Ferrari che si è rifiutata di proteggerlo nel momento del bisogno (cosa che fece Montezemolo con Schumacher e, in alcuni momenti fin troppo, con Alonso) sia da quella porzione della stampa che ha sempre trovato in Seb un capro espiatorio, non chiedendosi mai quali fossero i veri problemi in seno a Maranello se non con la disfatta delle prime gare del 2023, dove nemmeno “l’aria nuova” portata da Vasseur sembra sortire effetti positivi. Il tutto accompagnato da una Ferrari SF-23, “l’ultimo regalo” di Binotto (e dopo la sua uscita pure di Sanchez) alla squadra, che dopo il disastroso GP dell’Arabia Saudita (con Carlos Sainz in P6 e Charles Leclerc in P7) sembra una monoposto assolutamente irrecuperabile, lenta sia in curva che sul dritto.

 

 

Lasciatemi dire una frase che io e la fondatrice di questo blog, Laura Piras, usiamo spesso: in casi come questo il tempo, come ben si sa, è galantuomo.

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