· 

LA FERRARI TRA CAOS, LINKEDIN E BOOMERISMO

DI SIMONE PACIFICI

Non è un Paese per giovani”: una frase riferita all’Italia che abbiamo sentito tante di quelle volte che è entrata nell’immaginario collettivo, divenendo addirittura il titolo nonché tema centrale di un film di Giovanni Veronesi del 2017 con due ragazzi disillusi dalla mancanza di prospettive in Italia che tentano la fortuna nella lontana Cuba.

Qualche giorno fa è spuntato sulla piattaforma di recruiting LinkedIn (molto usata in diversi ambiti lavorativi, in particolare in campo tecnico-scientifico) un annuncio per un ruolo di Sensor Application Engineer in Ferrari girato da Benedetto Vigna, Amministratore Delegato della casa automobilistica italiana. Niente di sorprendente per chi è nell’ambiente, tantissime aziende del mondo motoristico lo fanno, compresi team di Formula 1 come la Red Bull Racing.

 

 

Il problema per molti (tra cui giornalisti, opinionisti, semplici appassionati ecc.) è che a farlo sia stata la Ferrari, in una logica che sembra uscita direttamente dal secolo scorso. Indignazione per il fatto che ci sia un AD che non accetta più candidature esclusivamente per posta o addirittura al momento del colloquio stesso, ma su una piattaforma online (per quanto molto apprezzata). Un “abbassamento di livello” alle misere realtà che fanno uso di LinkedIn. Già, peccato che molte delle compagnie (o addirittura dei giornali) per cui lavorano tanti di questi opinionisti scandalizzati abbiano una pagina LinkedIn che fa periodicamente recruiting di personale di varia importanza, dagli stagisti a quelli che aspirano al tempo indeterminato con anche un’ottima posizione.

 

 

La Ferrari ha indubbiamente tanti problemi, da una GES che in questi giorni sembra una vera e propria polveriera a causa di una supposta talpa che starebbe trapelando alla stampa informazioni riservate (perfino le scadenze dei contratti dei dipendenti stando alla testata tedesca Auto Motor und Sport) agli “smottamenti” assolutamente prevedibili della transizione da Binotto a Vasseur, cosa non nuova in un ambiente come quello di Maranello ad ogni “cambio di guardia”. Tra di essi, però, non vi è di certo quello del reclutamento tramite LinkedIn (il quale non riguarderebbe nemmeno il team di F1) che, al contrario, è un segnale di modernità.

 

 

È inevitabile che i detrattori ad oltranza della nuova gestione cerchino il pelo nell’uovo in qualsiasi cosa, non è nuovo. Ci saranno sempre i “fedelissimi” del TP venuto prima, soprattutto di uno come Mattia Binotto che in virtù dei tanti anni in cui ha lavorato in Ferrari (fin dal 1995) è divenuto una sorta di “simbolo”, e ai tempi della sua ascesa nel ruolo di caposquadra nel 2019 era stato dipinto al pari di un vero e proprio Messia (cosa insolita per un non-pilota). Come se i suoi ottimi trascorsi d’ingegnere e la sua anzianità compensassero le sue chiare lacune a livello manageriale e comunicativo (doti ancor più importanti delle conoscenze tecniche in un TP).

 

Ed è questo il punto attorno al quale gira il discorso su Frédéric Vasseur: al di là della sua presunta bravura (tutta da dimostrare), il nuovo ad una buona parte dei ferraristi fa paura. Come fa paura a molti italiani, vittime del “boomerismo” che va oltre le barriere dell’età e che fa temere loro qualsiasi cambiamento, anche a tanti giovani anagraficamente. Così quando un Sanchez se ne va ci si strappa i capelli e le vesti e ci si batte il petto, urlando che finché c’era Binotto perché almeno “c’era la stabilità”, anche se questa stabilità si traduceva in una cronica mediocrità. E così anche un semplice annuncio di lavoro della Ferrari su LinkedIn, cosa insolita ma non per forza negativa, diventa materiale di analisi catastrofiche. Anche se gli inizi non sembrano dei migliori, verrebbe da dire la classica frase: lasciamoli lavorare. Starà ai posteri l’ardua sentenza.

 

 

 

È un cane che si morde la coda: se la Ferrari decide di modernizzarsi, almeno una parte dell’Italia non ci sta. Non va bene che il Cavallino Rampante si liberi dalle briglie del Novecento e decida di correre libero verso le ignote praterie del XXI secolo, nel timore che non possa uscire indenne dalle insidie di questa società in rapida evoluzione. E se non accettiamo che la nostra più apprezzata azienda automobilistica dia qualche timido segnale di modernità, forse i problemi della casa di Maranello sono solo la punta dell’iceberg di altri ben più profondi radicati nella cultura lavorativa italiana.

Scrivi commento

Commenti: 0