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GP BELGIO: LA PAROLA DI UNA TIFOSA

DI LAURA PIRAS

Spesso e volentieri quando guardiamo un Gran Premio siamo concentrati talmente tanto da quello che succede in pista che perdiamo il focus su ciò che circonda un evento del genere. 

Spesso e volentieri alla fine di una gara i nostri piloti o le squadre che sosteniamo affermano, spero non con frasi di circostanza, che noi tifosi siamo l'anima di questo sport, che senza di noi tutto non sarebbe possibile. 

Ma la me di questo ultimo martedì di agosto è piena di dubbi in merito alla mia ultima affermazione perchè domenica si è pensato a tutto tranne che ai quei tifosi che sotto l'acqua attendevano un qualcosa che non è arrivato e che sono stati testimoni oculari di una delle più grandi prese per i fondelli di tutti i tempi da quando esiste questo sport. 

 

Su Twitter sono trapelate alcune testimonianze molto sintetiche ma fra il marasma di informazioni che ci giungevano da Spa si è elevata la voce di una ragazza che ha spiegato per filo e per segno la sua rocambolesca e assurda giornata di domenica scorsa. 

Compito mio oggi non è quello di spiegarvi nozione tecniche o di esprimervi la mia opinione in merito a una determinata tematica. 

Oggi voglio dare voce a questa ragazza e mettere nero su bianco tutto il disagio che questa appassionata ha sentito e sente tutt'ora. 

La ringrazio per avermi dato la possibilità di condividere la sua storia e di aver parlato con me in separata sede. 

 

 

«Dopo aver passato oltre sette ore e mezza sotto la pioggia battente per vedere un Gran Premio che non si è corso, quando hanno dato le bandiere rosse dopo i due giri, prima ancora che confermassero la cancellazione, siamo usciti dal circuito.

Abbiamo camminato dalla Campus all'Eau Rouge, per uscire nel punto esatto in cui la navetta ci avrebbe recuperati. Tale navetta ovviamente piena ai limiti della decenza di gente fradicia e bambini in lacrime ammassati e pedate di fango. Siamo entrati senza speranza di sederci, coscienti che ci avremmo messo moltissimo tempo visto il meteo e considerata la quantità di gente presente. Siamo rimasti un'ora e dieci letteralmente immobili nel parking lot. Avremo fatto sì o no 15 metri. Congelati, bagnati fradici e sporchi di fango, in mezzo a un bosco, in una coda infinita di macchine che si estendeva per chilometri e chilometri. Abbiamo iniziato a passarci buste di plastica per sederci per terra, una situazione ai limiti del surreale. Niente uber, niente alberghi. I taxi non rispondono e se rispondono lasciano in attesa. Più di sessanta persone letteralmente a terra senza idea di come tornare a casa (e questo è solo il piccolo esempio della nostra tratta). Momenti di incertezza e sconforto.

Verviers conta 54 mila abitanti. Ha una stazione piccola, di notte c'è un solo dipendente e parla solo francese. La maggior parte di noi, come si può immaginare, non lo capisce benissimo. Una signora messicana sembra intendere che ci sia un bus in arrivo. Davvero? Fantastico. Sono le dieci e dieci, l'ultimo treno che da Liége porta a Bruxelles parte alle undici e cinque. Una trentina di chilometri, senza traffico, dovremmo farcela. Il problema è che aspettiamo e aspettiamo e aspettiamo, ma questo bus non arriva mai. Ma a che ora era previsto? Non era previsto, lo ha chiamato l'omino della stazione. Cerchiamo di farci forza a vicenda anche se siamo stanchi e infreddoliti e non andiamo in bagno da undici/dodici ore.

Chiacchieriamo in molte lingue, veniamo da tutto il mondo. Parliamo per un'ora e oltre, senza presentazioni. Ci raccontiamo le nostre impressioni e condividiamo lo sconforto. I soldi spesi, le difficoltà. Ci sono due ragazzi irlandesi che hanno speso 450€ a testa per il solo ingresso della domenica, all'Eau Rouge. Una coppia che se li era regalati per l'anniversario. Una comitiva lo aveva inserito all'interno dell'itinerario di un road trip per il centro Europa. Per molti di noi era il primo Gran Premio dal vivo e siamo stati tutti d'accordo nel dire che probabilmente sarà anche l'ultimo. Finalmente, alle undici e venti, dopo quasi due ore in piedi ad aspettare, arriva un bus. Ci precipitiamo alla fermata, sembra un film. Per Liége? L'autista dice di no. Carlos, il bambino di otto anni, si mette a piangere. Siamo tutti molto provati.

L'omino della stazione, dopo essere sparito ed essersi preso tanti di quegli insulti che non stanno nei caratteri a disposizione, scende dal suo ufficio e va a parlare con l'autista del bus, gli spiega la situazione. Gli dice:"Hai visto Spa? Sono rimasti bloccati." L'autista decide di allungare il suo turno di un'altra ora e di portarci fino a Liége. Ci riversiamo sul bus come una mandria, come se volessimo abbatterlo, e appena seduti gli facciamo un lungo e commosso applauso. È il nostro driver of the day. A quanto pare, arrivati a Liége, ci aspetta un altro autobus. L'incubo sembra finito. Perfino le chiacchiere si diradano, sostituite da pensieri più tangibili: una doccia, una valigia da preparare.

Arrivati a Liége, la seconda batosta. Non ci sono più bus. Un inserviente ci scorta al piano superiore, ci dà dell'acqua e ci fa usare il bagno. Per me, che ho il ciclo, è la prima volta in otto ore. Per la ragazza russa che mi presta i fazzoletti, la prima in dieci ore. Un piccolo sollievo. A Liége scopriamo che l'omino della stazione di Verviers, che tanto avevamo insultato, si è prodigato per cercare davvero una soluzione. A quanto pare, ci stanno chiamando dei taxi per accompagnarci a Bruxelles. Le tempistiche, però, sembrano lunghe.

Noi dobbiamo tornare al bnb per fare i bagagli e prendere un aereo alle sei. Abbiamo i telefoni scarichi, siamo a digiuno e già un po' raffreddati. Un ragazzo di Padova ci presta la sua powerbank. Sembra di sognare. Riempiamo sei taxi per Bruxelles, due per Bruges e uno per Maastricht. Nel nostro c'è un ragazzo indiano che ha girato tutta l'Europa. L'autista non ha il radionavigatore e ci chiede di cercare la strada su google maps. All'una e quaranta, arriviamo alla stazione centrale. Sette ore dopo, riusciamo a lasciarci alle spalle il BelgianGP e a tornare a casa. Questo incubo, finalmente, volge al termine.

Ho due voli da prendere, zero ore di sonno a mio carico e tanta tristezza. Quando le cose sono troppo belle per essere vere, di solito non sono vere.»

La ragazza in questione non è una tifosa di primo pelo, anche se giovanissima ha già le spalle larghe. Tifa Ferrari sin da piccola come tutta la sua famiglia e per lei doveva essere giustamente un giorno di festa. Oltre il danno anche la beffa di trovarsi in una situazione davvero al limite della decenza. 

Doveva essere un giorno speciale per lei e invece, parole sue, è diventato uno dei giorni più brutti della sua vita. 

Giustamente si sente ferita, non tanto per non aver assistito all'evento perchè opinione sua, condivisa credo da molti, la sicurezza dei piloti è al primo posto ma è la presa per i fondelli che non ci sta. 

Non si poteva e non si doveva correre, bene! annulli tutto e mandi le persone a casa il prima possibile soprattutto perchè le condizioni meteo erano precarie anche per gli spettatori non solo per chi si deve calare nell'abitacolo delle monoposto. 

 

Da appassionata mi sono sentita empaticamente connessa con questa ragazza e se fosse successa a me la stessa cosa credo che avrei reagito come lei. 

Ho assistito anche io a dei gran premi, anche sotto l'acqua ma non mi era mai successo di assistere a questo scempio. Ho avuto la fortuna di godere della mia passione senza rinunciare a un qualcosa che mi fa sentire viva, che pur facendomi soffrire mi carica e mi riempie la vita come non mai. 

Mi dispiace per questa ragazza e mi dispiace per tutti coloro che in cuor loro non hanno potuto accumulare la loro anima con bei ricordi. 

 

Forse l'unica nota positiva è che in queste occasioni ci sentiamo tutti vicini e che anche se non ci conosciamo in fondo siamo legati tutti da il sacro vincolo dello sport che tanto amiamo. 

 

Spero anche che a questa ragazza torni la voglia di rimettersi in cammino verso un circuito di formula 1 perchè adesso come adesso non ci pensa minimamente a riorganizzare tutto. 

So bene quanto uno ci possa tenere, so bene quanto batta il cuore quando fra le mani si ha un biglietto per un gran premio. 

Forse molti, talmente abituati alla pista, danno per scontate certe sensazioni ma per chi va poco a vedere le gare dal vivo ogni lasciata è persa, ogni presa per i fondelli vale 1000 e questo tremendo dispiacere può creare ferite difficilmente rimarginabili. 

Auguro davvero a questa dolce e disponibile ragazza di riprovare quella gioia immensa e quel desiderio che in fin dei conti non dovrebbe andare mai perso. 

Una passione serve per sostenerci, non per affossarci, serve per creare un mondo più vero, non un mondo più cupo e ricco di rabbia. 

La formula 1 deve fare qualcosa per rimettersi in careggiata perchè i biglietti costano troppo, perchè sta diventando uno sport troppo distante dagli appassionati, perchè queste delusioni devono cessare. 

Uno sport deve divertire, deve far innamorare le persone e deve trasmettere dei valori. 

Domenica è uscito fuori tranne che l'amore, la passione e il rispetto per un qualcosa che sta diventando troppo ricco di macchie. 

Formula 1 se ci sei batti un colpo. 

 

 

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